Il pesto lesto

I liguri mi rinnegheranno e non mi faranno mai più mettere piede in Riviera, ma il Collaboratore aveva voglia di pesto e io avevo un pranzo il giorno dopo su cui portarmi avanti. Le trofie del qualificato pastaio vicino a casa - ho già narrato la grande fortuna di vivere in quartiere - lo chiamavano inequivocabilmente e io volevo dire grazie al poveretto che mi aveva sopportato lungo una settimana complicata. Niente mortaio, però. Nemmeno lo possiedo, non saprei dove metterlo.

Dal fruttivendolo compro due bei mazzetti di basilico genovese, piccino, profumatissimo. So che andrebbe lavato con un panno e non torturato con l'acqua, ma io non resisto. Un po' di sgrondata sotto il rubinetto, asciugatura con uno strofinaccio e passa la paura. Prendo due spicchi d'aglio nuovo, li butto nel frullatore con 20 grammi di pinoli, 40 grammi di pecorino sardo e 80 di grana. A intermittenza li faccio andare aggiungendo olio. Quando sono tritati, aggiungo il basilico mondato (circa 50 grammi) e quattro, cinque cubetti di ghiaccio per preservarne il colore e non ossidarlo, ancora colpi di frullatore. E' tempo dell'olio d'oliva ligure (quello ho in casa), con una certa parsimonia, diciamo mezzo misurino del frullatore. Amalgamo nel boccale, e frullo ancora per un po', assaggio e, nel caso, correggo di sale. Mi sono distratta ed è venuto troppo cremoso, l'avrei voluto più consistente. Ci abbiamo condito una bella quantità di pasta e ne è avanzato ancora un buon vasetto, almeno per quattro porzioni, Sarà eretico, ma il profumo che si è scatenato appena congiunto alle trofie mi ha ha riportata alle mie estati nel golfo di Noli.



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